Nel capitolo intitolato, “La liberazione dalla madre”, nel suo volume quinto, Simboli della Trasformazione, Jung descrive il processo di individuazione come un compito assai arduo che solo pochi forse possono compiere. Inoltre, individua nella “passione di Cristo” la valenza simbolica del processo stesso, il quale (processo di individuazione) richiederebbe anche, da parte dell’uomo, un affrancamento dall’imago materna che non può essere raggiunto se non con un enorme sforzo e sofferenza psico-fisica. Tale affrancamento però, è solo un primo passo, indispensabile per costruire una relazione più matura con la madre stessa, quella archetipica, in altre parole con la propria anima. Scrive Jung:”Il compito consiste nell’integrazione dell’inconscio, cioè nella sintesi di conscio e inconscio (io direi tra la persone e la psiche). A questo processo io ho dato il nome di “processo di individuazione”. In questo stadio il simbolo materno si connette all’inconscio in quanto matrice creativa del futuro. “Entrare nella madre” significa allora stabilire una relazione tra l’Io e l’inconscio. Chi è immerso in se stesso è come interrato; un morto ritornato alla madre terra; è un Ceneo carico di cento fardelli sprofondato nella morte, un uomo che porta gemendo il carico pesante del suo Sé e del suo destino. Pensiamo alla tauroforia di Mithra, che prende sulle spalle un peso schiacciante, il suo toro, o come dice l’inno egizio, “il toro di sua madre”, vale a dire, l’amore per la sua madre natura, e inizia così la marcia dolorosa, il transitus. Questa via crucis porta alla grotta nella quale il toro viene sacrificato. Così anche Cristo deve portare la sua croce sino al luogo del sacrificio, dove, secondo la versione cristiana, l’agnello viene sacrificato nella figura del dio per essere quindi calato sotto terra nel sepolcro. La croce, o comunque il pesante fardello portato dall’eroe è l’eroe stesso, o meglio, il suo Sé, la sua totalità, dio e animale a un tempo, non solo l’uomo empirico, ma la pienezza del suo essere radicata nella natura animale, che trascendendo l’elemento puramente umano si eleva fino alla divinità. La sua totalità implica una tremenda tensione degli opposti che appare unita e composta in sé stessa, come nella croce che ne è il simbolo più perfetto. Ciò che in Nietzsche appare come una metafora poetica è in realtà un mito antichissimo”.
Quando la libido abbandona il luminoso mondo superiore, – sia in virtù di una libera scelta o perché semplicemente è scemata-allora questa ricade nelle sue profondità , alla sorgente dalla quale era scaturita in origine e fa ritorno al punto di rottura, l’ombelico, attraverso il quale essa (libido) un tempo penetrò in quel corpo. Questo punto di rottura ha nome “madre” perché da lei ci venne la corrente della vita. Perciò quando vi è da compiere qualche grande opera o dobbiamo prendere importanti decisioni, spesso l’uomo indietreggia disperando delle sue forze e la sua libido rifluisce al punto di origine della sorgente e questo è il momento pericoloso nel quale occorre decidere tra l’annientamento e una nuova vita. Se la libido riesce a liberarsi e a farsi strada verso l’alto, si verifica il miracolo: la discesa nel mondo sotterraneo sarà stata un tuffo nella fonte di giovinezza e un nuovo impulso fecondatore risulterà dalla morte apparente. (tratto da C.G. Jung, Simboli della Trasformazione)
N:B: La libido viene qui intesa come energia psichica. Non bisogna confonderla con la “libido sessuale” di Freud. Infatti, per Jung la libido è la nostra fonte energetica che può assumere diverse forme e modalità di espressione; tra queste anche e non solo, quella sessuale. Ed è proprio sul concetto di libido che si è consumata la separazione tra Jung e Freud. (Dott. Marco Franceschini)