La psicologia ha riconosciuto, chiamandolo angoscia, il Caos senza volto e senza nome, il movimento folle e atterrito che è nell’anima, e dandogli quel nome ha evocato direttamente la Dea, Ananke, da cui deriva la parola angoscia. Se davvero la parola angoscia appartiene ad Ananke, s’intende che non può essere padroneggiata dalla volontà razionale. Quando l’angoscia ci invade e ci assale, noi non possiamo fare altro che accoglierla come un vuoto (chaos) aperto nella continuità della ragione. Di conseguenza l’angoscia non sarebbe suscettibile all’analisi; si fa strada ineludibilmente finché non ne viene ammessa la necessità. Perché, allora, non considerare le esperienze di angoscia come un riflesso nelle profondità dell’essere umano dell’operare di Ananke? Non è possibile nessuna teoria razionale dell’angoscia. Essa non ha altra ragione di essere che la sua intrinseca necessità. Le basi dell’angoscia risiedono nella necessità stessa.
Dott. Marco Franceschini (Tratto da J. Hillman, La vana fuga dagli dei)