Psicoterapia di coppia

Psicoterapia di coppia

Ogni coppia  è  diversa dalle altre, e porta con sé un ideale di amore differente, così come i modi di viverlo e manifestarlo. In generale però, entrambi i partner dovrebbero essere sufficientemente maturi da strutturare un legame solido, seppur in costante cambiamento e ristrutturazione nel corso del tempo e con il mutare delle esigenze e dei bisogni reciproci. Ogni situazione di cambiamento prevede il superamento delle sopravvenute distanze, la costruzione di differenti equilibri, con la formulazione di nuovi obiettivi comuni. Spesso questi passaggi sono dolorosi, in alcuni casi a tal punto da essere destrutturanti; altre volte il disagio può essere attraversato e superato più facilmente, con un ulteriore arricchimento dello stesso legame.

Dal punto di vista funzionale vediamo la relazione a due come un sistema dinamico, che nasce e si sviluppa attraverso una serie di intimi accordi, alcuni consapevoli altri inconsapevoli, e da eventi più generali, come l’innamoramento, la condivisione di progetti di vita, la convivenza o il matrimonio, l’eventuale nascita di figli.

In definitiva, una coppia – costituendo un vero e proprio sistema dove si intrecciano aspettative, illusioni, emozioni, bisogni, desideri e malattie – dovrà ciclicamente attraversare ed affrontare le inevitabili crisi che di per se non sono negative, anzi, ma che talvolta, se non opportunamente affrontate possono portare a dei conflitti percepiti come insolubili.

Alla luce di queste premesse, la psicoterapia di coppia avrebbe diversi scopi:  individuare la fonte del disagio percepito; analizzare il disagio stesso e quindi di razionalizzarlo; in un secondo momento quello di comprendere il significato simbolico del sintomo per ciascuno dei partner. Scopo del percorso terapeutico è anche quello di mantenere viva la scintilla del desiderio, sia intellettuale che sessuale, in un dialogo mai concluso di evoluzioni e stabilizzazioni adattive, rendendo ogni soggetto competente emozionalmente.

Dott. Marco Franceschini

 

Psicosomatica definizione

Aree di intervento

 

Introduzione alla definizione di psico-somatica

“Il corpo è l’oggetto psichico per

eccellenza, il solo oggetto psichico.

(J.P.Sartre, L’essere e il nulla)

La parola psico-somatica è composta da due dimensioni in relazione tra di loro quindi con un confine, ed è su questo confine che si esprime il misterioso passaggio, tra le configurazioni neurali e le immagini, tra gli aspetti psicologici e organici. E’ un po’ lo stesso confine tra psiche e materia? Abbiamo accennato a qualcosa di misterioso, dunque. Ma non è forse vero che tutto ciò che è misterioso, l’uomo lo ha sempre visto come numinoso? Come qualcosa di divino? Talmente incomprensibile da essere proiettato in alto verso la ragione? Sul dizionario Treccani, leggiamo: “la psicosomatica attiene al campo della medicina e della psicologia che studia disturbi e malattie fisiche i quali sarebbero prodotti o favoriti da fattori di ordine psicologico ed emozionale”. Il modello psicosomatico è espressione di una unità indivisibile della persona umana, ma allo stesso tempo fa riferimento a una profonda diversità esistente tra funzioni somatiche e funzioni psichiche. A partire dalla metà del 20° sec. si è aperto un dibattito su quale sia l’epistemologia competente a tale campo controverso della scienza. Si può ritenere che tale sfida epistemologica lasci dietro di sé un solco aperto che divide la psichiatria dalla medicina e la psicologia dalle neuroscienze. Nel pensiero freudiano, il problema mente-corpo si pone originariamente all’interno della distinzione di due diverse direttrici: cioè tra sintomi dell’isteria, intesa come quadro clinico comprensivo di alcune manifestazioni somatiche e di un conflitto a livello inconscio, e nevrosi attuale, caratterizzata da quadri sintomatologici più o meno strutturati in modelli somatici direttamente conseguenti a insoddisfazioni di bisogni emergenti, non rappresentabili e pertanto privi di contenuti simbolici sottostanti. La direttrice interpretativa più seguita è quella dei fenomeni psicosomatici come sintomi della nevrosi attuale, e quindi come equivalenti di angoscia. Sigmund Freud sostiene che lo stato di angoscia può essere «rappresentato da un unico sintomo: un tremito, una vertigine,una palpitazione cardiaca, un affanno. Tutti questi stati che noi descriviamo come equivalenti di angoscia vanno equiparati all’angoscia sotto tutti i riguardi clinici ed etiologici» (Introduzione alla psicoanalisi, 1915). Da queste premesse si originano numerose correnti di pensiero, che giungono a ipotizzare come l’organizzazione psicosomatica sia una regressione alla fase mentale indifferenziata originaria dello sviluppo somatopsichico, che da taluni autori (Max Schur, 1955, e Peter L. Giovacchini, 1963) viene considerata come matrice dei processi somatici e psichici.

Psicoterapia analitica (Junghiana)

Psicoterapia Analitica

 

Storicamente, la Psicologia Analitica nasce grazie ai contributi e agli studi di Carl Gustav Jung, medico e psichiatra svizzero.

La psicoterapia analitica, tra i vari fini specifici, in generale ha quello di orientare, sostenere e contenere la nostra relazione con l’inconscio, cercando di trovare delle forme concettuali il più vicino possibile ai modi in cui propriamente si esprime il lavoro dell’inconscio. Il pensiero si fa lui stesso simbolico. Per cui nascerebbe una possibile collaborazione con il lavoro clinico, in particolare nell’analisi e quindi, nell’interpretazione. Il tutto in un clima di relazione intima, collaborativa e creativa. Tale lavoro, non procederà comunque senza tensione, senza resistenze, senza difese e arretramenti. Senza dubbio sarà un’operazione sempre in corso, un work-in-progress, o meglio, in process.

La psicoterapia analitica ha altresì lo scopo di favorire e promuovere il corretto svolgimento del processo d’individuazione. Laddove si considera l’individuo come portatore di un’essenza. Egli deve, in primo luogo, servire se stesso e per farlo deve guardarsi e vedersi attraverso quel “conosci te stesso” che gli antichi greci incisero sul frontone del tempio di Delfi. L’analisi di cui parliamo è l’analisi del profondo, l’analisi che tocca l’anima del nostro essere, riferendoci con anima a quell’insieme di processi psichici che possono esprimersi attraverso rappresentazioni, cioè immagini, parole, sogni, emozioni agiti e sintomi, quel sentire che ha il potere di smuoverci interiormente. Il disturbo psichico, in questa ottica, smette di essere considerato una malattia, e l’intervento analitico smette di essere considerato una “cura” che diventa, invece, aver cura dell’anima ovvero della psiche. Ne consegue che la clinica della psicologia analitica junghiana non mira soltanto al raggiungimento della “guarigione”, ma ad individuare il senso simbolico e archetipico del disturbo, al fine di condurre il suo portatore ad utilizzarne l’energia per la “trasformazione” e per la propria individuazione. Obiettivo del percorso è l’individuazione del soggetto, corrispondente all’armonia delle energie psichiche. Le difficoltà superate nella psiche rendono possibile affrontare e superare anche le difficoltà comportamentali della vita diurna. Si afferma, per dirla con Hillman, che “l’addestramento della sensibilità, la partecipazione ai gruppi e l’accento sull’esperienza del corpo e sull’immaginazione sono divenuti necessari tentativi preliminari per risvegliare la psiche con il renderci consapevoli che l’anima si estende nei corpi, negli altri, fino al regno immaginale. Questi metodi ci spingono a riconoscere l’anima, a darle ascolto e a prenderci cura di essa in molte delle sue manifestazioni finora trascurate dalla psicologia stessa”.

Dott. Marco Franceschini