Ancor prima di educare un bambino, un adulto dovrebbe riflettere sulla presunzione di educare il bambino senza aver conosciuto a fondo e quindi educato il proprio bambino interiore. D’altronde, sarebbe altrettanto presuntuoso per l’adulto pensare di poter correggere errori nel bambino, pur continuando egli stesso a commettere gli stessi errori. La personalità la possiamo immaginare come un germe che cresce solo gradualmente nella vita e grazie alla vita. Parlare di sviluppo della personalità significa anche parlare di fedeltà alla propria ghianda, al proprio daimon, cioè alla propria legge, vuol dire parlare di fiducia di base e lealtà, di fedeltà a se stessi. La personalità difficilmente si può sviluppare in modo sano, senza che l’individuo scelga coscientemente e autonomamente di seguire la propria strada. Talvolta però, sceglie altre strade, auto-ingannandosi e convincendosi che sia quella giusta, ma che deriva inesorabilmente dai condizionamenti e da identificazioni con altri enti quali, la famiglia, la religione, la società di massa, la politica ecc. Sviluppare la propria personalità allora, agli occhi della società di massa diventa un impresa impopolare, e solo pochi si sono votati a questa avventura, come diceva Jung, “sono gli eroi mitici dell’umanità”. La personalità autentica ha sempre una vocazione, un fattore irrazionale che spinge ad emanciparsi dalla massa, ha fede in se stessa così come quando si ha fede in un dio. Troppo spesso l’individuo anziché ascoltare il proprio daimon, la propria vocazione, ascolta la voce del “gruppo” (società, famiglia,ecc.),precludendosi qualsiasi libertà, quella di poter scegliere. Ma il “gruppo” (famiglia, società, ecc.)a causa della sua inconsapevolezza non ha libertà di scelta. Il meccanismo delle convenzioni mantiene gli uomini inconsapevoli perché gli permette di seguire ciecamente le strade consuete senza bisogno di scegliere consapevolmente con il vantaggio secondario di non doversi prendere responsabilità verso se stessi e verso gli altri. Eppure il gruppo, la società, storicamente ha sempre sentito il bisogno di creare e individuare un eroe che lo liberi dalla propria inconsapevolezza e che sia un esempio a cui anelare. La vita di Cristo, in questo senso, rappresenta la personalità di un uomo che ha deciso di consacrarsi alla propria vocazione, donando così l’amore all’umanità. Ma cosa vuol dire? Forse, ma è una mia lettura personale, vuol dire donare all’uomo la prospettiva simbolica di chi sceglie di sacrificare la propria identificazione con la massa per ritrovare il proprio sé, la propria spiritualità, dio. Può voler dire, offrire l’amore in quanto forza che lo dovrebbe spingere (l’uomo) verso la realizzazione della propria genuina personalità per affrancarsi dall’inconsapevolezza della massa, resuscitare da essa per facilitare la nascita del proprio “vero sé”, il processo di individuazione. Secondo Jung, lo sviluppo della personalità equivale ad una crescita della coscienza, nei miti è rappresentata con la nascita dell’eroe. Allora la nevrosi è una difesa contro l’attività interna oggettiva della psiche, un tentativo, pagato a caro prezzo, di eludere la voce interiore e quindi la vocazione, poiché la nevrosi è un disturbo della crescita della personalità. La sofferenza nevrotica, insomma, come la racconta Jung, potrebbe essere un inganno inconscio, perché, come direbbe Freud, ha il suo tornaconto secondario e, come provocatoriamente direi io, una manifestazione della vigliaccheria. Concludendo con Jung:” La strada che si cela dentro di noi è chiamata Tao dalla filosofia cinese, ed è paragonabile ad un corso d’acqua che scorre inesorabilmente verso la propria meta. Essere nel Tao significa compimento, integrità. La personalità è il Tao”.
Dott. Marco Franceschini