DALL’AMORE NASCENTE ALL’AMORE DURATURO

followme_018-pngForse una formula che consente alla coppia di “Abitare nell’Amore Duraturo” è quella di accettare di incontrare l’altro/a in tutte le tappe del viaggio, ma soprattutto il desiderio di imparare. Si, perché  l’altro attiva in noi contenuti psichici che vengono percepiti attraverso i vari sentimenti.  Per questo ci si dovrebbe chiedere se si è disposti ad incontrare se stessi in ogni tappa dell’avventura di coppia.  Tanto più l’altro è “diverso” tanto più cresce l’opportunità di imparare. Ecco che la coppia di innamorati viene vista da Vézina (psicoterapeuta di coppia) attraverso la metafora degli antichi esploratori.

A volte gli innamorati hanno incontrato i loro opposti, ovvero partner molto diversi da loro nella “Giungla dei Giochi di Potere”. Questo caos ha dato luogo a una nuova realtà, quella del riconoscimento dell’originalità di ciascuno. Sono riusciti a far sì che i loro opposti diventassero un “contrasto” come dice la drammaturga Nancy Bernier. Hanno scoperto parti di sé che avevano dimenticato, abbandonato o ignorato, e questo ha permesso loro di comprendere perché hanno scelto quel partner per viaggiare. Anche se, durante il viaggio, i loro corpi sono invecchiati e la loro personalità è cambiata, gli innamorati si sono riposati insieme nella “Zona del rispetto” e hanno smesso di volersi cambiare, o di voler cambiare l’altro, scoprendo così con sorpresa, una nuova persona di cui innamorarsi di nuovo.  Ma il passaggio nel Rispetto implica l’accettazione del proprio partner di viaggio così com’è. Gli innamorati per giungere nella Valle dell’Amore Duraturo, hanno imparato a vivere con i difetti dell’altro, a rispettarli, fino ad aspettarseli. Nella “Valle della fiducia” hanno incontrato i “Fiumi del dubbio”, del “Sospetto” e della “Paura”, ma hanno costruito insieme “Ponti di comunicazione” solidi per attraversarli. E cos’è Comunicare se non  mettere in comune le proprie esperienze, i propri pensieri e i propri sentimenti e anche condividere il silenzio?    Malgrado le differenze e ciò che li irrita, hanno scoperto un “noi” al di sopra del loro “io”. Si sono elevati al di là delle loro differenze per inerpicarsi insieme sul Monte degli Scopi Comuni, apportando così qualcosa di nuovo al loro ambiente.  Soltanto impegnandosi a negoziare compromessi ragionevoli, lontani dalle turbolenze della Giungla dei Giochi di Potere.  L’Amore duraturo è come un paese in via di sviluppo. Molte persone sognano un paradiso dove tutto è facile e dove i bisogni vengono soddisfatti facilmente senza conflitti. Essi si aspettano che l’amore fornisca loro il comfort, la sicurezza e la felicità assoluta. Ma non è così che il Nuovo Mondo è stato costruito, e il Nuovo Mondo dell’Amore segue lo stesso schema. I nostri antenati hanno costruito le loro nazioni, con le guerre, le battaglie e il sudore della fronte.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                 Infine,  il Viaggio che va dall’Amore nascente a quello duraturo, può essere riassunto in 4 tappe:

  1. Le Terre dell’Amore nascente e dell’Amore passionale;
  2. La Valle della Quotidianità, con il Deserto della Noia e le Montagne dello Stress;
  3. Le Terre del Riconoscimento, con la Spietata Giungla dei Giochi di Potere;
  4. L’Amore Duraturo, apice del Monte degli Scopi Comuni.

 

Dott. Marco Franceschini
Riferimenti:  J.F. Vézina, L’Avventura dell’Amore.

LA COPPIA EMOTIVAMENTE INTELLIGENTE

2412200883013_bcio_amore_psicheLe coppie più felici, in realtà, non sono quelle che hanno un’intelligenza superiore, un tenore di vita più elevato o quant’altro.
Molto più semplicemente, le coppie felici sono quelle dove i pensieri negativi vengono in qualche modo “neutralizzati” da quelli positivi. Può sembrare banale ma sfido le coppie a provarci!                                                                                                             Ad esempio, può capitare, anzi capita spesso che uno dei due partner tende a chiedere di tanto in tanto al compagno/a di cambiare qualche abitudine. Ma il messaggio che arriva, ancora prima di una richiesta è: “Siccome non ti accetto così come sei, faresti bene a cambiare questa o queste abitudini”. In altre parole, si sta seminando un campo fertile di conflittualità ovvero di pensieri negativi. D’altronde, chiunque si sente giudicato, che sia in un’aula di tribunale o durante una semplice conversazione, ha la tendenza innata a difendersi e rifiutare il “capo d’accusa”! Alla luce di questa premessa, sarebbe buona norma facilitare un clima positivo, laddove il primo passo non è quello (erroneo) di chiedere dei cambiamenti, ma, piuttosto quello di far arrivare un semplice messaggio: “Mi piaci così come sei!”, ma soprattutto di comprendere e accogliere l’altro/a e le sue abitudini. Molto semplicemente, bisogna ricordarsi che ogni cambiamento può nascere solo da un’iniziale accettazione.              Al riguardo, lo psicologo J. Gottman, uno dei massimi esperti mondiali nella consulenza matrimoniale, scrive che: “Se vi sentite giudicati, fraintesi o rifiutati, non riuscirete a gestire i problemi del vostro matrimonio e questo vale per i piccoli come per i grandi problemi…La gente cambia solo se pensa di piacere e di essere accettata per quel che è.”

Dott. Marco Franceschini

Riferimenti bibliografici: Gottman J., Intelligenza emotiva per la coppia, BUR.

La trappola.

Spesso,12509275_10207289391344566_3926640702147337142_n all’interno della coppia, uno dei due partner (in genere il più immaturo, ma che crede di essere il più intelligente) per esternare il suo malcontento, cade nell’errore di porre all’altro delle “false domande”, finendo dentro la rete della “trappola comunicativa”.  Per esempio pone delle domande di cui conosce già bene la risposta. Questo atteggiamento non avrebbe lo scopo di comunicare e/o di creare un’informazione condivisa. No, questo atteggiamento, a dir poco manipolativo, ha il solo scopo di attirare l’attenzione su di sé e distogliere l’altro da quello che sta facendo. Le “aspettative di vita della coppia”, con tali presupposti è ovviamente breve, a meno che l’altro decida più o meno consapevolmente di ammalarsi. Allora bisognerebbe imparare a gestire l’impulsività, ma soprattutto a “riformulare la domanda” ovvero a parlare esplicitamente dei propri bisogni senza far sentire l’altro continuamente in colpa come farebbe un bambino piccolo!

Dott. Marco Franceschini

L’ONESTA’ CONIUGALE

NAVEZ_Francois_Joseph_The_Nymph_Salmacis_And_Hermaphroditus-1L’onestà coniugale è una condizione di “trasparenza” psicologica quando è espressione di fiducia e di stima tra amanti. Ma quando “dirsi tutto” viene percepito dall’uno o dall’altro come un obbligo, una sorta di controllo a distanza, una regola che stabilisce rigidamente i confini dei comportamenti “leciti”, l’effetto è del tutto ribaltato: accentua la dipendenza, il controllo e l’oppressione reciproci. Quando la fedeltà è il risultato della paura e della costrizione è debole e senza merito. Questo fa fuggire Afrodite e Ermes…viene meno la relazione e l’eros che la tiene unita.

 

 

 

Dott. Marco Franceschini

Riferimenti: Paris G. , La rinascita di Afrodite, Moretti e Vitali

Amore e Potere

Amore e Potere

NigredoAlbedoRubedoL’amore comprende la sessualità e il potere l’istinto di autoconservazione. Come ha sottolineato Jung, eros e potere si fronteggiano come due opposti rivali. Così spesso il matrimonio o una relazione di coppia diventano talvolta il luogo dove si attuano giochi di potere, laddove ognuno cerca di difendere il proprio mondo  (convinzioni, pensieri, religione, ecc) dal mondo dell’altro. La possibilità di concedersi, la generosità gratuita, cioè quella che non si aspetta nulla in cambio, quella che sa accogliere l’altro per quello che è, forse è andata perduta…o quasi. Ma come si può configurare l’istinto del potere con l’eros? A questa domanda l’alchimia ci viene incontro con l’immagine della boccetta. Si, mettiamo l’amore e l’eros dentro una boccetta, una sorta di gabbia di cui noi ci illudiamo di esserne i padroni,i detentori della chiave con la quale poterla aprire a nostro piacimento, ecco la volontà. In un certo senso a volte fa la donna/uomo quando ad esempio si serve della propria bellezza e del proprio potere seduttivo per conquistare un uomo/donna,magari interessante e/o ricco/a. Si comporta come se fosse la/il proprietaria/o dell’amore e ne potesse disporre a proprio piacimento. Spesso non si è disposti ad amare un signor “nessuno” ed allora ci si ingannerà convincendosi di amare il grande signor xy. Cercherà di credere con tutta se stessa di amare l’uomo che meglio corrisponde al suo Io, al suo ideale e ai suoi progetti di potere. Sottoposto ad un simile trattamento, l’amore degenera nel suo aspetto più essenziale, cioè nel sesso. Viene ridotto, per così dire, alla sua prima materia, al suo livello fisico, così che la sessualità è tenuta prigioniera da una programmazione intellettuale. La sessualità viene utilizzata come un’esca al fine di trovare un partner adeguato per ragioni adeguate, e il vero amore, che di solito scioglie i nodi, libera dalle limitazioni e crea nuova vita, viene ansiosamente represso, imprigionato nel vaso alchemico.

Cosa vuole l’amante?

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“…Chi si accontenterebbe di un amore che si desse come pura fedeltà all’impegno preso? Chi accetterebbe di sentirsi dire: ‘Ti amo,perché mi sono liberamente impegnata ad amarti e perché non voglio contraddirmi.Ti amo per fedeltà a me stessa?’. Così l’amante chiede il giuramento e si irrita del giuramento. Vuole essere amato da una libertà e pretende che questa libertà come libertà non sia più libera. Vuole insieme che la libertà dell’altro si determini da sé a essere amore – e questo, non solo all’inizio dell’avventura, ma a ogni istante – e,insieme, che questa libertà si imprigioni da sé, che ritorni su se stessa, come nella follia,come nel sogno, per volere la sua prigionia. E questa prigionia deve essere insieme rinuncia libera e incatenata nelle nostre mani. Nell’amore,non si desidera nell’altro il determinismo passionale o una libertà fuori portata: ma una libertà che gioca al determinismo passionale e che aderisce al suo gioco. E, per quanto lo riguarda, l’amante non pretende di essere la causa di questa modificazione radicale della libertà , ma di esserne l’occasione unica e privilegiata”. Evidentemente, cosa esige l’amante,secondo Sartre? Non di agire propriamente sulla libertà della sua amata, perché riconosce la libertà dell’altra anzi la desidera. No, l’amante desidera, forse, diventare l’oggetto che delimita il campo di questa libertà, quindi nelle parole di Sartre,vuole essere il”limite oggettivo” di questa libertà, il limite che essa deve accettare per essere libera.
Buona riflessione!

Dott. Marco Franceschini (tratto da: J.P. Sartre, L’essere e il nulla).

Rispettare il conflitto.

fidanzamentoSpesso, all’interno di una relazione abbiamo non poche difficoltà a rispettare l’altro per ciò che è, ovvero le differenze e gli inevitabili conflitti che nascono da queste. Paradossalmente, può succedere che il voler appianare certe differenze, di voler risolvere sempre tutto, possa alla fine generare problemi insormontabili e creare conflitti maggiori, fino all’intolleranza delle differenze che in ultima analisi vuol dire, non sopportare l’altro. Allora, forse, bisogna accettare che la differenza che c’è tra noi e l’altro è una differenza da salvaguardare e non da appianare. Alla luce di ciò, possiamo affermare che non è il conflitto ad essere pericoloso per una sana vita di coppia, ma il tentativo di reprimerlo con strategie che non fanno altro che soffocare l’identità dell’altro. Insomma, non siamo bravi perché in qualche modo siamo riusciti a cambiare un po’ l’altro, no, siamo bravi se riusciamo a cambiare la relazione con l’altro!

Dott. Marco Franceschini

Volersi male. La ferita non rimarginata

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…Spesso, una delle cause principali di una ferita in chiunque di noi proviene dalla nostra difficoltà a perdonarci ciò che abbiamo fatto a noi stessi o che facciamo subire agli altri. Perché non ci riusciamo? Forse perché, semplicemente,  di solito non ci rendiamo neanche conto che ci vogliamo male…anche se spesso diciamo il contrario! Più è profonda la ferita da abbandono, più  ci abbandoniamo ossia ci trascuriamo, non ci diamo la giusta attenzione, anzi, al contrario, ci piace controllare l’altro, dare attenzioni all’altro, lo critichiamo appena ne abbiamo l’opportunità. Allora se  siamo così, dovremmo ASTENERCI dal fare del bene a qualcuno, risparmiamocelo! A meno che non siamo capaci di sopportare l’ingratitudine!! Ma ne dubito. Inoltre, ricordiamoci sempre che: RIMPROVERIAMO AGLI ALTRI TUTTO CIO’ CHE NOI STESSI FACCIAMO E NON VOGLIAMO VEDERE! Forse è per questa ragione che attiriamo a noi persone che ci mostrano che cosa noi facciamo agli altri o a noi stessi…

Dott. Marco Franceschini (stralcio di articolo)

I ruoli nei giochi di coppia

 

Nonostante la varseparazioneietà delle situazioni, i ruoli fondamentali sono tre: Persecutore, Salvatore, Vittima.
La persona che inizia un gioco parte da uno di questi tre ruoli, ma nella conclusione lo lascia per assumerne un altro.
Il Persecutore: si pone in posizione di superiorità rispetto all’altro, biasimandolo, offendendolo, svalutandolo.
Quando il partner, giunto all’esasperazione lo rifiuta magari interrompendo la relazione, diventa una Vittima, attonita e amareggiata («Cosa ho fatto per meritarmelo!»).
La Vittima: si pone in posizione d’inferiorità, chiedendo continuamente sostegno all’altro.
Quando il partner, stanco delle continue richieste, non soddisfa le sue pretese, diventa un Persecutore, pronto ad attaccare e accusare («Lo sapevo che non potevo contare su di te!»).
Il Salvatore: si prodiga nell’aiutare gli altri, spesso sostituendosi ad essi.
Quando il partner sentendosi soffocato, si allontana o respinge l’aiuto, diventa una Vittima («Non mi merito che mi tratti in questo modo!») o un Persecutore («Con tutto quello che ho fatto per te!»).

Esempi di giochi.  Di seguito sono presentati alcuni giochi psicologici suddivisi in base al ruolo iniziale con cui la persona entra nel meccanismo. Ogni gioco si presenta con moltissime varianti, ma si caratterizza per uno schema comune.
Giochi del Persecutore                                                                                                                                                             “Spalle al muro”: riguarda quelle situazioni in cui due partner decidono di fare qualcosa insieme, come andare al cinema o trascorrere un week end fuori città. Quando tutto è stabilito uno dei due introduce, in modo apparentemente accidentale, un determinato argomento sapendo di irritare l’altro. Segue una lite, alla fine della quale il giocatore si offende comunicando: «Con te non vengo da nessuna parte, se vuoi vai da solo/a!».
“Perché non… Sì ma”: si riferisce a quelle persone che chiedono insistentemente consigli per risolvere un problema, ma ognuno dei suggerimenti forniti («Perché non fai questa cosa?») viene puntualmente rifiutato («Sì ma… questa cosa non è possibile!»).
“Prendetemi a calci”: è tipico di coloro che, come scrive Berne, «sono messi regolarmente alla porta, lasciati dal partner, licenziati sul posto di lavoro». Si tratta di persone che ritengono di avere sempre un giusto motivo per criticare, provocare, colpevolizzare il partner, finché giungono all’unica conclusione possibile: il fallimento del rapporto affettivo.
Giochi della Vittima

“Goffo pasticcione”: riguarda quelle persone che, per maldestrezza, distrazione, avventatezza, provocano danni ai beni materiali del partner. Il danno può riguardare piccole cose (rompere un bicchiere, perdere le chiavi di casa) fino a questioni più sostanziose (fare un investimento sbagliato).
Il pasticcione si prodiga in mille scuse ed è sempre perdonato.
“Gamba di legno”: il giocatore fa leva su una propria incapacità, presunta o reale, al fine di ottenere attenzione e sostegno: «Non posso farcela a fare questa cosa»«Vorrei cambiare ma non ci riesco».
Spesso, è messo in atto da persone che soffrono d’ansia e fobie, ma anche da coloro che si avvalgono di eventi negativi della propria storia personale come giustificazioni per non assumersi responsabilità.
“Se non fosse per te”: consiste nell’accusare il partner di essere stato d’ostacolo nel raggiungimento di qualche meta importante, cui il giocatore ha volontariamente rinunciato («Se non fosse per te… mi sarei laureata/o… avrei accettato quel lavoro importante…»).

 Giochi del Salvatore

“Sto solo cercando di aiutarti”: la persona offre il proprio aiuto al partner, senza che questo ne abbia fatto richiesta. Se l’aiuto è rifiutato, anche con un semplice «No, grazie…», il giocatore si sente incompreso e svalutato nella propria disponibilità: «Volevo solo essere gentile… farti risparmiare tempo…».

“Se non ci fossi io”: è messo in atto da coloro che si prodigano per il partner, sbrigando incombenze, offrendo sostegno, risolvendo tutte le possibili seccature.

Ogni richiesta è esaudita con la compiaciuta convinzione di essere indispensabile: «Come faresti senza di me?».

“Il cavaliere”: è definito da Berne un gioco “buono”, appartenente alla categoria maschile.

Il Cavaliere, di fronte ad una donna che lo attrae, mette in atto un elegante corteggiamento senza superare i limiti, quindi senza approdare a una relazione. La risposta positiva suscitata nell’altro, gratifica l’amor proprio del giocatore.

Le regole del gioco                                                                                                                                                                 Un gioco psicologico, come un qualsiasi gioco sportivo o da tavolo, è governato da regole, rappresentate da sequenze comportamentali. La dinamica può prendere la forma di una discussione o lite apparentemente razionali, ma che tendono a ripetersi con analoghe modalità.
Lo schema del gioco secondo la teoria dell’Analisi Transazionale è il seguente:

Fase di apertura (GANCIO + ANELLO):

Il gancio è la comunicazione con cui s’invita l’altro a giocare, l’anello è la disponibilità dell’interlocutore a partecipare al gioco proposto. Metaforicamente “gancio + anello” rappresenta il processo con cui l’anello si appende al gancio. Prendendo come esempio il gioco: «Perché non… sì ma», la fase di apertura può essere: «Ho bisogno di un tuo consiglio»«Va bene… dimmi…».
Fase centrale (RISPOSTA):

L’interazione prosegue in modo prevedibile e con tempi più o meno lunghi.

Seguendo l’esempio del gioco «Perché non… sì ma», la risposta consiste nella serie di suggerimenti forniti da un partner e respinti dall’altro: «Potresti fare questa cosa…»«Sì… ma… ci sarebbe quest’inconveniente».
Fase finale (SCAMBIO DEI RUOLI + SORPRESA):

L’interazione è improvvisamente interrotta da un colpo di scena, in virtù del quale chi ha iniziato il gioco cambia il proprio ruolo (scambio dei ruoli), segnalando in questo modo la conclusione dello stesso. Nell’esempio citato «Perché non… sì ma», lo scambio dei ruoli concerne il momento in cui la Vittima che ha iniziato il gioco diventa Persecutore, screditando la capacità dell’altro di offrirle l’aiuto richiesto :«Ho capito, non vuoi aiutarmi!».
La sensazione di aver cambiato ruolo provoca nei due partner un momento di sorpresa.
Entrambi, sebbene colgano il ripetersi dell’accaduto, rimangono stupiti chiedendosi «Cosa sta succedendo?».

Conclusione. Al termine del gioco, ciascuno dei giocatori ottiene il suo tornaconto costituito da una “ricompensa psicologica”: procurarsi sostegno, sentirsi riconosciuto, rimarcare la propria superiorità o l’incapacità dell’altro. Ma la vittoria è solo apparente, in quanto è sempre accompagnata da un’emozione spiacevole o da un pensiero negativo («Non sono all’altezza»«Nessuno è capace di aiutarmi»«Non ne posso più…»«Non mi capisce…».

 

Infertilità di coppia

« Ciò che si oppone conviene, e dalle cose che differiscono si genera l’armonia più bella, e tutte le cose nascono secondo gara e contesa. » (Eraclito)

Tra i  motivi perfertilita-coppia cui una donna,  è stressata, uno di questi  risulta essere   la ricerca di un figlio… che non arriva. In genere, le storie di chi sta provando ad avere un figlio sono spesso simili: il loro matrimonio pare sia  felice, la situazione economica stabile, per cui la coppia non ha dubbi sul fatto che, date le premesse, possa essere il momento giusto per fare un figlio. Ma contrariamente alle aspettative,  passano  mesi, anni e il figlio non arriva. A questo punto è facile che si possa generare  un circolo vizioso: lo stress comincia ad aumentare, si fanno tutte le indagini mediche possibili (dalle quali molto spesso non emerge nulla di veramente indicativo ), la coppia va in crisi. Arrivati a questo punto, dopo tutti gli sforzi fatti,  la donna comincia a sentire un senso di impotenza tale che vede minacciata la sua identità di donna e di futura madre, andando in confusione e nel panico. Talvolta la paura di perdere per sempre la maternità e financo il compagno, prende il sopravvento.

Qual è il vero problema? Considerare che fare un figlio è una tappa necessaria e quasi forzata. Tale atteggiamento genera angoscia.

Infatti, è proprio quando assumiamo un atteggiamento troppo volitivo e progettuale, tale da  considerare la vita semplicemente una successione di tappe da superare e realizzare al meglio (a 30 anni un figlio, a 35 la casa al mare, a 40 la promozione sul lavoro…) allora  dentro di noi si mette in moto qualcosa che fa “girare” le cose  in senso contrario. Ciò non è un mistero se prendiamo in considerazione una delle leggi della fisica: l’enantiodromia, dal greco antico ἐναντιοδρομία, composto di enantiosopposto e dromos, corsa) significa letteralmente corsa nell’opposto. Con questo concetto è indicato nella filos
ofia
 di Eraclito il gioco degli opposti nel divenire, cioè la concezione secondo la quale tutto ciò che esiste passa nel suo opposto. Tale concetto appartiene a diversi campi scientifici (fisica, fisica quantistica, psicologia-analitica junghiana, chimica, biologia, filosofia).

Tornando al desiderio di maternità, quando ci si accorge che  ‘non manca nulla’ da un punto di vista economico e sociale,  relazionale e così via, si giunge a considerare che è arrivato il momento giusto per fare un figlio. Così si prova, magari pensando al giorno migliore rispetto all’ovulazione, alla posizione più idonea da un punto di vista anatomico, eppure niente da fare! Della gravidanza nessuna traccia e allora la frustrazione, il senso di impotenza, il disorientamento e talvolta l’angoscia, cominciano a prendere il sopravvento.

Il nocciolo del problema risiede in un atteggiamento mentale  sbagliato!

Quando vediamo che una persona vuole imporre le proprie regole e aspettative sugli altri, allora pensiamo che questa persona sia presuntuosa. Se poi vediamo la stessa persona voler imporre la propria volontà sugli eventi della natura, allora arriviamo a pensare che oltre essere presuntuosa, è anche folle.

A questo punto è bene ricordare, non solo che il concepimento è uno dei misteri più affascinanti  che la natura ci regala,  ma che  concepire un figlio è un evento naturale, ma soprattutto che la natura ha i suoi tempi che possono non coincidere con i tempi della nostra ragione o del nostro “Io”, ovvero con la nostra volontà.  Così, la donna che non riesce a rimanere in cinta, inizia tutta una serie di esami che richiedono sacrifici, sia in termini di tempo, emotivo e di denaro che però, il più delle volte non evidenziano anomalie così importanti. Ma paradossalmente, il fatto stesso di riscontrare esami negativi, genera alla persona, angoscia per il futuro e  rabbia che deriva dal senso di impotenza. Tale rabbia, qualora non trova un canale adeguato, può generare una crisi all’interno della coppia o con le altre persone che fanno parte della propria rete sociale.

Arrivati a questo punto, si entra nel “girone” delle critiche verso se stessi e dei sensi di colpa.

Si comincia allora a pensare che c’è qualcosa che non va anche se non sappiamo cosa e che comunque ci si sente incapaci. Talvolta, all’interno della coppia comincia una lite che prende spunto dai reciproci rimproveri, tra questi, ad esempio, per non aver pensato prima a fare un figlio. In tutto questo la coppia si sta allontanando emotivamente da quella che dovrebbe essere la giusta predisposizione a fare un figlio: la spontaneità,  l’animo sereno e il desiderio! Si, perché volere un figlio non equivale a desiderarlo. La differenza tra volere e desiderare è sostanziale. Il desiderio appartiene all’anima, mentre  la volontà appartiene alla sfera razionale. Detto in altri termini, il desiderio è un fenomeno naturale e la volontà no.

Ma c’è una  soluzione?

Un atteggiamento contraddistinto da eccesiva  razionalità, da un atteggiamento eccessivamente concretistico e logico, unito ad un modo di pensare  consequenziale, dove tutto va  programmato e tenuto sotto controllo, compreso il concepimento, rappresentano i veri nemici di chi vorrebbe avere un figlio. Dobbiamo metterci bene in testa e ricordarci che l’evento della nascita non  dipende da noi, dalla nostra volontà (come già affermato). Al contrario, sempre per la legge dell’enantiodromia,  tanto più rimaniamo ancorati e fermamente convinti che le cose debbano “girare” e accadere secondo la nostra volontà, tanto più la natura si ribella, mettendoci il “bastone fra le ruote”. A tal proposito, gli antichi alchimisti mettevano in guardia l’adepto dal  “non sfidare la veneranda natura” . Forse sarebbe utile riflettere su questa antica saggezza.  Alla luce di ciò, non bisogna continuare ad accanirsi verso un progetto perché risulterà inevitabilmente controproducente. La nostra natura interiore risponde più o meno alle stesse leggi della natura fuori di noi. Secondo le più moderne scoperte della fisica quantistica, il “fenomeno” si presenta laddove il mondo interiore dell’uomo coincide o va in risonanza con il mondo esterno (vedi concetto di sincronicità). In altre parole,  applicando questa importante legge della fisica quantistica e della psicologia junghiana, vuol dire che un figlio arriva quando prendiamo consapevolezza della nostra parte più profonda, quindi più autentica se non quando questi coincidono con la nostra natura più autentica.

La soluzione è dentro di noi: bisogna smettere di combattere e affidarsi alla vita!

Le storie di chi ci è riuscito lo confermano: quasi tutte sono riuscite ad avere un figlio proprio quando hanno smesso di ossessionarsi su questo pensiero, lasciando spazio alla creatività e in modi diversi: scoprendo nuovi interessi, nuovi desideri, nuovi amici, nuove attività. Questo atteggiamento curioso verso la vita, creativo ed esplorativo apre le porte alle novità che la vita può regalare, tra queste, l’arrivo di un figlio.

Dott. Marco Franceschini