…il problema è di non prendere in modo letteralistico quei malumori, debolezze e sensi di impotenza. Quando sei in uno stato depressivo, capisci che la depressione appartiene a te e tuttavia non ti identifichi con essa. Vivi la tua vita nella depressione; svolgi il tuo lavoro in compagnia della depressione; non ti paralizza completamente. Può paralizzarti soltanto se sei un maniaco-depressivo. La depressione diventa terribile quando ci si accanisce a uscirne, a dominarla. Di una persona che prendesse alla lettera un’idea diremmo che è paranoide; eppure noi prendiamo i sentimenti come se fossero la nostra unica verità, identificandoci con essi. Insomma, quando entriamo in depressione, la nostra depressione ci appartiene e non possiamo evitare di viverla fino in fondo. Possiamo vivere la nostra giornata secondo uno stile depresso: il ritmo rallenta, c’è tristezza, non si riesce a vedere oltre il proprio orizzonte. Ma si può prendere atto di questi fatti, riconoscerli e andare avanti, migliaia di persone vivono in questo modo. Si può sempre trovare il modo di parlare, a partire dalla depressione, di vedere il mondo attraverso questa prospettiva, di entrare in rapporto con gli altri senza il bisogno di mascherarla. E’ un tale sollievo trovarsi con qualcuno che è capace di vivere nella depressione senza identificarsi totalmente con essa: è un maestro da cui imparare, come sanno essere a volte i vecchi. Con la depressione tocchiamo il fondo e toccare il fondo significa rinunciare all’idea cristiana di resurrezione, della “luce alla fine del tunnel”. Niente più fantasie di luce, ed ecco che la depressione diventa subito meno buia. Se non c’è speranza, non c’è neppure disperazione. Il messaggio di speranza del cristianesimo non fa che rendere più buia la disperazione; è il miglior alleato dell’industria farmaceutica!
(Tratto da J. Hillman)