Nella sua intervista con Laura Pozzo, Hillman ricorda che i Greci non erano obbligati a credere nei loro dèi. Non dicevano “Io credo in…”, un’affermazione introdotta dal Cristianesimo. Non avevano una teologia, ma una mitologia. E noi abbiamo bisogno di conoscere la nostra vita psichica non in modo teologico, ma in modo mitico. Quando qualcosa si manifestava (una voce, un’immagine, un sogno) gli rispondevano. Come si diceva, se Marybelle gli fa visita, un pagano le risponde. Un cristiano, invece, si chiede: la visitatrice è divina o diabolica? E’ reale o è una mia fantasia? Credo a questa figura, e se ci credo, su cosa baso il mio credere? E così via. Ma tutto ciò altera il naturale rapporto con i fenomeni. Il solo fatto di credere, l’affermazione “Io credo”, soggettivizza il fenomeno stesso e viene fagocitato dall’Io. Credere, ci separa dall’immaginazione, dalla nostra realtà animale. Come se credendo si potesse rendere reale, vero e concreto qualcosa. Certo, se si ha abbastanza fede….Questo colloca la realtà in un Io che desidera – chi è, infatti, che crede? Chi afferma la realtà della voce, o di Dio, o di Marybelle? “IO”, naturalmente! Questo è un modo inaccettabile di procedere. Ed è anche fondamentalmente antireligioso, perchè incurante della realtà di ciò che esiste, della realtà psichica. D’altronde la fede potrebbe essere intesa come un modo non riflessivo di procedere.
Dott. Marco Franceschini
Riferimenti bibliografici: James Hillman, Il linguaggio della vita, interviste di Laura Pozzo, Rizzoli.